Domande frequenti

Frequently Asked Questions

Ci sono dubbi e incertezze ricorrenti quando si parla di Open Science, Open Access, pubblicazioni scientifiche e copyright. Di seguito raccogliamo alcune domande frequenti su questi temi e forniamo delle risposte pratiche e semplici ma con un taglio specificamente giuridico.

Le risposte sono state redatte da Sabrina Brizioli, giurista dell'università di Perugia, in collaborazione con Valentina Colcelli (CNR-IFAC), e Roberto Cippitani (Università di Perugia). I testi sono stati editati e sintetizzati dalla redazione del portale open-science.it, in particolare da Gina Pavone e Donatella Tamagno

Copyright

Il termine copyright  è impiegato come  sinonimo di diritto d’autore nel linguaggio comune, sebbene in realtà vi siano delle differenze storiche e di sostanza. Il Copyright (letteralmente diritto di copia) nasce con lo scopo di monitorare la circolazione delle opere e la tutela offerta riguarda prettamente l’aspetto economico. Il diritto d’autore concerne, invece, sia l’aspetto morale, quindi la paternità, sia i profili patrimoniali derivanti dallo sfruttamento dell’opera Posta sinteticamente questa differenza e concentrando l’attenzione sul  diritto d’autore, specialmente per come disciplinato nell'ordinamento italiano, si tratta di  un istituto giuridico del diritto privato che ha lo scopo di tutelare il frutto dell’attività intellettuale nelle sue espressioni creative e originali, riconoscendo all’autore diritti morali e patrimoniali. In particolare la legge n. 633/1941, determina  il contenuto e la durata del diritto d’autore e stabilisce le modalità di protezione dei diritti sull’opera a difesa della personalità dell’autore (diritto morale dell’autore) e le prerogative circa l’utilizzazione economica dell’opera (diritti patrimoniali).

Cfr. Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1941/07/16/041U0633/sg  e testo aggiornato alle successive modifiche: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig

Il diritto d’autore è normato dalla legge n. 633/1941, integrata da altre fonti normative quali: la Direttiva 93/98/CEE sulla armonizzazione della durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi attuata con Dlgs. 26 maggio 1997, n. 154; la Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione a cui è stata data attuazione dal Dlgs. 9 aprile 2003, n. 68; più recentemente, la Direttiva 2019/790/UE sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE.

Cfr. Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1941/07/16/041U0633/sg  e testo aggiornato alle successive modifiche: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig

 

La legge n. 633/1941 sul diritto d’autore protegge le opere dell’ingegno di carattere creativo - come opere letterarie, musicali, arti figurative, architettura, opere teatrali e cinematografiche - in qualunque forma espressiva e qualunque ne sia il modo. Sono protetti, inoltre, i programmi per elaboratore (software) e le banche dati che per scelta e disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore (art. 1).

La legge sul diritto d’autore si applica anche a enciclopedie e antologie, ovvero alle opere collettive costituite dalla riunione di opere o di parti di opere, risultato di un coordinamento a fini divulgativi, scientifici o didattici (legge 633/1941, art. 3).

All’art. 10 la legge sul diritto d’autore stabilisce che se l’opera è frutto del contributo indistinguibile e inscindibile di più persone, il diritto d’autore appartiene in comune a tutti i coautori. Salvo che sia stabilito diversamente per iscritto, le parti indivise si presumono di valore uguale e si applicano le regole della comunione previste dal codice civile. La difesa del diritto morale può essere sempre esercitata individualmente da ogni coautore.

La legge sul diritto d’autore disciplina il rapporto tra autore ed editore tramite il contratto di edizione, con cui l'autore concede all'editore il diritto di pubblicare l’opera dell’ingegno, a spese dell'editore stesso (art. 118 legge 633/1941).

Nell’insieme dei diritti singolarmente negoziabili e indipendenti l’uno dall’altro riconosciuti all’autore, quello di pubblicare l’opera è soltanto uno (artt.12-18 legge 633/1941). Ciò significa che l’autore e l’editore devono porre particolare attenzione a cosa viene ceduto e individuare chi è il titolare del diritto di sfruttamento economico.

Soprattutto nelle opere scientifiche, quando gli autori tendono a riproporre il loro studio in vari contributi, è molto comune che nei contratti di edizione vi sia la cessione in esclusiva  dei diritti. In questo caso  l’autore è obbligato a non pubblicare con altri delle opere analoghe evitando, così, la concorrenza di ulteriori editori. 

Ai sensi dell’art. 107 della legge sul diritto d’autore, i diritti patrimoniali possono essere acquistati, alienati o trasmessi e tale trasmissione deve avvenire per iscritto (art. 110).

È possibile, inoltre, concedere l’uso e lo sfruttamento dell’opera ad altri mediante le licenze d’uso tra chi detiene i diritti sull’opera (detto licenziante) e chi ne fruisce sulla base della licenza (detto licenziatario).

 

Cfr. artt. 118-135 e artt. 136-141, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig.

Ai sensi della legge sul diritto d’autore «i diritti di utilizzazione economica dell’opera durano tutta la vita dell’autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte» (art. 25).

Per le opere create con il contributo indistinguibile di più persone il diritto d’autore spetta in comune a tutti i coautori e la durata di utilizzazione economica spettante a ciascuno dei coautori si determina sulla base del coautore che muore per ultimo (art. 26).

Nelle opere collettive la durata dei diritti di sfruttamento economico spettante a ogni collaboratore è determinata in base alla durata della vita di ciascuno. La durata dei diritti di utilizzazione economica dell'opera nel suo insieme è di settanta  anni dalla prima pubblicazione, qualunque sia la forma nella quale la pubblicazione è stata effettuata. Sono fatte salve le disposizioni dell’art. 30 per giornali, riviste e altre opere periodiche.

La durata dei diritti di utilizzazione economica spettante a terzi, quali Amministrazioni dello Stato ed Enti pubblici culturali, è di 20 anni a partire dalla prima pubblicazione. Per le comunicazioni e le memorie pubblicate dalle Accademie e dagli enti pubblici tale durata è di due anni. Trascorso questo termine, l’autore riprende integralmente la libera disponibilità dei suoi scritti.

 

Cfr. art. 25 e ss., Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig.

La legge sul diritto d’autore disciplina il rapporto tra autore ed editore a mezzo del contratto di edizione. In base al contratto di edizione, l'autore concede all'editore il diritto di pubblicare per proprio conto e a proprie spese l’opera dell’ingegno. L’art. 120 della legge sul diritto d’autore prevede, altresì, che il contratto di edizione possa avere per oggetto anche opere future e quelle da creare, non ancora esistenti al momento dell’accordo tra le parti. Sono oggetto del contratto di edizione tutti i diritti di utilizzazione che spettano all’autore ovvero solo alcuni di essi.

Cfr. art. 118, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig

Un Addendum al contratto editoriale è un documento collegato al contratto con l’editore avente a oggetto il mantenimento di alcuni diritti in capo all’autore, ad esempio quelli di riutilizzo dell’opera attraverso l’autodeposito in un archivio istituzionale.

La legge sul diritto d’autore configura due ipotesi di contratto di edizione in relazione al tempo (e, conseguentemente, ne determina differentemente anche il contenuto): il contratto per edizione e il contratto a termine.

Il contratto per edizione attribuisce all’editore il diritto di eseguire una o più edizioni entro venti anni dalla consegna dell’opera indicando nel contratto il numero delle edizioni e degli esemplari per ogni edizione. Quando nulla è specificato, si sottintende che il contratto abbia per oggetto una sola edizione.

In caso di contratto di edizione a termine, l’editore ha il diritto di eseguire il numero di edizioni che ritiene opportune durante l’arco temporale massimo di venti anni, per un numero minimo di esemplari di edizione indicati nel contratto e a pena di nullità.

Quando sono previste nel contratto più edizioni, l’editore è obbligato ad avvisare l’autore del momento presumibile di esaurimento dell’edizione in corso entro un congruo termine e dichiarare contemporaneamente all’autore se intende o no procedere a nuova edizione. Il contratto si intende risolto quando l’editore dichiara di rinunciare a una nuova edizione o, avendo dichiarato di procedervi, non lo fa entro il termine di due anni dalla notifica della dichiarazione. In assenza di giustificati motivi, l'autore ha diritto al risarcimento dei danni per la mancata nuova edizione, nel caso l’editore abbia dato comunicazione di voler procedere in tal senso.

Cfr. artt. 122 e 124, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig

Dal contratto di edizione discendono obblighi in capo alle parti. L’autore

  • deve consegnare l’opera nelle condizioni stabilite dal contratto e nella forma per cui non sia troppo difficile o costosa la stampa;

  • deve garantire il pacifico godimento dei diritti ceduti per tutta la durata del contratto;

  • ha l’obbligo (e diritto) di correggere le bozze di stampa secondo le modalità fissate dall’uso.

L’editore:

  • è obbligato a porre in vendita l’opera in conformità dell’originale e secondo le buone norme della tecnica editoriale, con il nome dell’autore ovvero in forma anonima o pseudonima quando previsto dal contratto;

  • è tenuto a pagare i compensi pattuiti all’autore.

La legge sul diritto d’autore stabilisce che il compenso spettante all’autore sia costituito da una partecipazione, calcolata, salvo patto contrario, in base a una percentuale sul prezzo di copertina degli esemplari venduti e può essere rappresentato da una somma a stralcio per le edizioni delle opere elencate dalla stessa legge sul diritto d’autore.

 

Cfr. art.130, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig

L'art. 39 della legge n. 633/1941 prevede che se non si riceve notifica di accettazione entro un mese dall'invio o se entro sei mesi dalla notizia di accettazione l'articolo non viene pubblicato, l'autore riprende il diritto di disporre liberamente del suo articolo. Questo però solo nel caso in cui l'autore sia esterno alla redazione e senza precedenti accordi contrattuali (se è un redattore a fornire l'articolo, il periodo a disposizione dell'editore si estende).

La medesima disposizione di legge (legge 633/1941, art. 39, c. 2) prevede, però, che decorso il termine di sei mesi dalla consegna del manoscritto, l’autore può utilizzare l’articolo per riprodurlo in volume o per estratto separato, se si  tratta di giornale, e anche in altro periodico, se si tratta di rivista.

Cfr. art. 39, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig.

La legge sul diritto d’autore stabilisce che il direttore del giornale ha diritto di introdurre nell’articolo le modificazioni di forma richieste dalla natura e dai fini del giornale. Sono previste solo due eccezioni: la presenza di un patto contrario e l’applicazione dell’art. 20, cioè il diritto di paternità dell’autore e quello di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera stessa che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. Il direttore della rivista può invece tagliare o ridurre parti di articoli che vengono pubblicati in forma anonima. 

 

Cfr. artt. 20 e 41, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig

Dati

I dati della ricerca sono informazioni raccolte o prodotte nel corso dell’attività scientifica, di solito comunemente considerati elementi di prova necessari per convalidare le conclusioni e i risultati della ricerca. La Direttiva 2019/1024/UE indica a titolo esemplificativo come dati della ricerca «le statistiche, i risultati di esperimenti, le misurazioni, le osservazioni risultanti dall’indagine sul campo, i risultati di indagine, le immagini e le registrazioni di interviste, oltre a metadati, specifiche e altri oggetti digitali». Nella stessa  disposizione si specifica che i dati della ricerca sono diversi dagli articoli scientifici in cui si riportano e si commentano le conclusioni della ricerca scientifica sottostante. In considerazione delle strategie di accesso aperto, la Direttiva in questione invita gli Stati membri dell’UE ad adottare politiche di accesso aperto in relazione ai dati della ricerca finanziata con fondi pubblici.

Secondo la normativa europea recepita in Italia una banca dati è una «raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti e individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo» (Direttiva 96/9/CE art. 1 n. 2). La normativa europea precisa che la tutela del diritto d’autore è possibile quando le banche dati "per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione dell’ingegno propria del loro autore” (art. 3). Nel nostro ordinamento, il decreto legislativo n. 169/1999, nel richiamare la legge 633/1941, definisce le banche dati come “raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo” (art.2). Tuttavia, la tutela delle banche dati in base al diritto d’autore non si estende al loro contenuto, da cui deriva una distinzione tra una banca dati (o database) e i dati in essa contenuti .

Cfr.  Direttiva 96/9/CE Direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 1996 relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, G.U.C.E 27.3.96 n. L77/20 consultabile in  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31996L0009&from=IT.

E inoltre: Decreto legislativo 6 maggio 1999, n. 169, Attuazione della direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, G.U.  n. 138 del 15.06.1999 consultabile in https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1999-06-15&atto.codiceRedazionale=099G0250&atto.articolo.numero=0&qId=&tabID=0.5514472330778684&title=lbl.dettaglioAtto; art. 64 quinquies e 102 bis, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, Legge 22 aprile 1941, n. 633, G.U. n. 166 del 16 luglio 1941 consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1941-04-22;633!vig

Autore di una banca dati può essere una persona o un gruppo di persone fisiche, o una persona giuridica (cfr. Direttiva 96/9/CE, art. 4).

La banca dati può essere protetta mediante diritto d’autore in quanto “forma espressiva”, per cui all’autore vengono riconosciute le seguenti prerogative:

a) la riproduzione permanente o temporanea, totale o parziale con qualsiasi mezzo e in qualsivoglia forma; 

b) la traduzione, l’adattamento e ogni altra modifica;

c) qualsiasi forma di distribuzione al pubblico dell’originale o di copie della banca dati

d) qualsiasi comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico

e) qualsiasi riproduzione, distribuzione, comunicazione, presentazione o dimostrazione in pubblico dei risultati delle operazioni di cui alla lettera b)  (Direttiva 96/9/CE, art. 5).

L’utente legittimo può eseguire i medesimi atti dell’autore per l’accesso al contenuto e l’uso normale della banca dati  senza autorizzazione da parte dell’autore. Se l’autorizzazione riguarda solo una parte della banca dati, l’utente legittimo può svolgere queste attività solo su questa parte (Direttiva 96/9/CE, art. 6). La normativa europea lascia liberi gli Stati membri di prevedere delle limitazioni a) quando si tratta di una riproduzione per fini privati di una banca dati non elettronica; b) quando l’impiego ha finalità esclusivamente didattiche o di ricerca scientifica, sempreché si indichi la fonte, nei limiti di quanto giustificato dallo scopo non commerciale; c) se si tratta di impieghi per fini di sicurezza pubblica o per effetto di una procedura amministrativa o giurisdizionale; d) se si tratta di deroghe al diritto d’autore.

Cfr.  Direttiva 96/9/CE Direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 1996 relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, G.U.C.E 27.3.96 n. L77/20 consultabile in  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31996L0009&from=IT

Il creatore di una banca dati ne possiede i diritti esclusivi, nonché il diritto di vietare l'estrazione o il reimpiego di una parte sostanziale o della totalità del contenuto. Il diritto sui generis costituisce un diritto ad hoc sul contenuto della banca dati ed è diretto a tutelare chi l'ha costituita, cioè chi ha effettuato investimenti rilevanti per realizzarla, verificarla o presentarla, impiegando mezzi finanziari, tempo e lavoro. La tutela riguarda la riproduzione e ri-disposizione dei dati memorizzati nella banca dati. Lo scopo del diritto sui generis è di salvaguardare adeguatamente le energie, il lavoro e i mezzi finanziari impiegati per realizzarla. Affinché la tutela attraverso il diritto sui generis sia operativa occorre che si realizzino le seguenti condizioni:

  • le risorse umane ed economiche, complessivamente intese come investimenti per la banca dati, devono essere rilevanti sia qualitativamente che quantitativamente;

  • il reimpiego ed estrazione dei contenuti della banca dati devono riguardare la totalità della medesima o una sua parte sostanziale ( Direttiva 96/9/CE, art. 7) 

 

Cfr. Direttiva 96/9/CE Direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 1996 relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, G.U.C.E 27.3.96 n. L77/20 consultabile in  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31996L0009&from=IT 

Decreto legislativo 6 maggio 1999, n. 169, Attuazione della direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, G.U.  n. 138 del 15. 06.1999 consultabile in https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1999-06-15&atto.codiceRedazionale=099G0250&atto.articolo.numero=0&qId=&tabID=0.5514472330778684&title=lbl.dettaglioAtto

La Direttiva 2019/1024/UE prevede che nell’ambito delle politiche nazionali di accesso aperto i dati della ricerca finanziata con fondi pubblici dovrebbero essere resi aperti come opzione predefinita  pur prestando dovuta attenzione a questioni che si collegano con un’ampia accessibilità ai dati come, ad esempio, le questioni inerenti la vita privata, la protezione dei dati personali, la riservatezza, la sicurezza nazionale, legittimi interessi commerciali (in quest’ultimo caso rilevano i segreti commerciali, i diritti di proprietà intellettuali di terzi). In ragione di tale bilanciamento, infatti, gli Stati membri dovrebbero seguire il principio «il più aperto possibile, chiuso il tanto necessario».

Non rientrano nella portata applicativa della Direttiva 2019/1024/UE i dati della ricerca per i quali l’accesso è escluso per motivi di sicurezza nazionale, difesa e sicurezza pubblica.

Come riconosciuto dalla Direttiva 2019/1024/UE, l’accesso all’informazione è un diritto fondamentale. Infatti, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce  il diritto di ciascuno alla libertà di espressione che, per l’appunto, include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 

Il settore pubblico degli Stati membri produce, raccoglie e riproduce una grande quantità di informazioni, compresi dati di straordinaria rilevanza provenienti da diversi ambiti e attività. Per i dati frutto dell’attività di ricerca, il cui volume è in crescita esponenziale, se ne riconosce un potenziale di riutilizzo anche al di fuori della comunità scientifica. Il nesso tra accesso alle informazioni e dati della ricerca si sostanzia nel garantire e rendere adeguata la consultazione, abbinare tra loro e riutilizzare i dati provenienti da fonti diverse e attraverso vari settori e discipline.

Sono considerati dati dinamici quelli caratterizzati da una continua variazione e, più specificatamente, «i documenti in formato digitale, soggetti ad aggiornamenti frequenti o in tempo reale, in particolare a causa della loro volatilità o rapida obsolescenza». La Direttiva 2019/1024 comprende nella categoria di dati dinamici, quelli ambientali, sul traffico satellitari, metereologici e i dati generati da sensori il cui valore economico dipende dall’immediata disponibilità dell’informazione e da regolari aggiornamenti.  Essi dovrebbero essere resi disponibili immediatamente dopo la raccolta o, in caso di aggiornamento manuale, immediatamente dopo la modifica della serie di dati, tramite un’interfaccia per programmi applicativi (API) al fine di agevolare lo sviluppo di applicazioni internet, mobili o cloud che forniscono informazioni in tempo reale.

I dati dinamici sono rilevanti proprio in virtù della loro rapida mutevolezza e il loro valore è legato alla loro immediata fruizione. Perciò, possono limitarne la disponibilità solo le necessità di far fronte a garanzie e interessi rilevanti. Si tratta, ad esempio, dei casi in cui è necessaria una verifica dei dati per giustificati motivi di interesse pubblico e, nello specifico, motivi di salute e di pubblica sicurezza. In questo caso, i dati dinamici diventano immediatamente disponibili dopo la verifica, che in ogni caso, non dovrebbe incidere sulla frequenza degli aggiornamenti. Possono esserci, inoltre, dei limiti di ordine tecnico o finanziario e, a questo proposito, la Direttiva 2019/1024 specifica che gli enti pubblici sono tenuti a mettere a disposizione i documenti entro un termine che renda possibile lo sfruttamento del potenziale economico. Qualora si faccia ricorso a una licenza, tra le condizioni della licenza deve figurare la tempestiva disponibilità di tali dati.

Brevetti

Il brevetto è un titolo giuridico che conferisce il diritto esclusivo e temporaneo di sfruttamento su un “trovato”, cioè sull’oggetto del brevetto stesso. Il contenuto del diritto consiste nel realizzare, disporre, usare, mettere in commercio, vendere o importare l’oggetto del brevetto. 

Per essere brevettabile, il trovato deve avere i seguenti requisiti:

  • liceità: il trovato non deve essere contrario all’ordine pubblico e al buon costume;

  • attuazione industriale: il trovato deve essere utilizzato, fabbricabile e/o fabbricato in campo industriale;

  • novità: il trovato deve essere “nuovo”, cioè non deve essere già presente o conosciuto nello “stato della tecnica” - espressione che indica ciò che è accessibile al pubblico prima del deposito della domanda di brevetto, in Italia o all’estero, mediante descrizione scritta o orale, utilizzazione o qualsiasi altro mezzo;

  • attività inventiva: il trovato costituisce “qualcosa” che non sia evidente dallo stato della tecnica per una persona esperta del ramo.

Poiché queste caratteristiche sono necessarie alla brevettabilità, ne consegue che non possono essere considerate invenzioni: 

  • le razze animali e i procedimenti biologici per ottenerle;

  • le presentazioni di informazioni;

  • le scoperte, teorie scientifiche e i metodi matematici;

  • i metodi per il trattamento chirurgico, terapeutico o di diagnosi del corpo umano o animale;

  • i principi, i metodi e i piani per attività intellettuale, per gioco o per attività commerciali;

  • i programmi per elaboratori. Il software, non essendo brevettabile, è oggetto di tutela e segue la disciplina del diritto d’autore.

Cfr. art. 45, Decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 Codice della proprietà industriale consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2005-02-10;30.

Decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 131 Modifiche al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 recante il codice della proprietà industriale, ai sensi dell’articolo 19 della legge 23 luglio 2009, n. 99, GU 18.08.2010 n.192

La domanda di concessione di brevetto per invenzione industriale deve essere accompagnata da descrizione, rivendicazioni e disegni (artt. 51-52 codice di proprietà industriale) 

L’invenzione, infatti, deve essere descritta in maniera sufficientemente chiara e completa in modo tale che possa essere attuata da ogni persona esperta del ramo e deve essere contraddistinta da un titolo che corrisponda al suo oggetto.

Le rivendicazioni indicano, invece, l'oggetto del brevetto e i limiti della protezione. Gli altri elementi come descrizione e disegni servono a interpretare le rivendicazioni.

Il brevetto per invenzione industriale dura venti anni dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato né può esserne prorogata la durata (art. 60 codice di proprietà industriale). 

La risposta è no, poiché la pubblicazione fa venir meno i requisiti della novità e non pubblicità del “trovato” oggetto di brevetto. Se ci si trova ancora nella fase precedente al deposito della domanda (e in particolare del periodo di segretezza), bisogna fare attenzione poiché uno dei requisiti per ottenere il brevetto è la novità. Si veda la domanda "Che cos'è un brevetto".

Sebbene la  ricerca e  il potenziale industriale brevettabile siano ambiti contigui, occorre specificare che, in realtà, pubblicazione e brevetto siano due strategie distinte, con presupposti e finalità diversi. Le pubblicazioni - cioè gli articoli scientifici o paper - sono forme di disseminazione, finalizzate ad alimentare nuova conoscenza, quest’ultima da considerarsi come prodotto di un metodo scientifico, verificabile e affidabile. Invece, il brevetto è un titolo giuridico e necessita del cosiddetto “trovato”, cioè l’invenzione, con i suoi caratteri di novità, originalità e attuazione industriale - anche se a un certo punto del procedimento necessario a conseguire il brevetto è prevista una forma di pubblicazione particolare. Occorre, perciò, comprendere le finalità della ricerca e la natura dei risultati ottenuti per decidere quale sia la strada migliore da intraprendere.

Dal brevetto derivano diritti morali e patrimoniali. Il diritto di essere riconosciuto come autore dell’invenzione (diritto morale) può essere fatto valere dall’inventore, e dopo la sua morte dal coniuge e dai discendenti fino al secondo grado; in loro mancanza, o dopo la loro morte, la legge determina gli aventi causa fino ai parenti di quarto grado incluso (art. 62 codice della proprietà industriale) A parte il riconoscimento come autore, tutti gli altri diritti nascenti dalle invenzioni industriali, sono alienabili e trasmissibili (art. 63 codice di proprietà industriale) 

Se un'invenzione industriale deriva dall'eseguire o adempiere a un contratto o un rapporto di lavoro, e l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto e pertanto retribuita, i diritti derivanti appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di  essere riconosciuto come autore (art. 64, c.1 codice di proprietà industriale). Invece, quando non è stabilita e prevista una retribuzione per l’attività inventiva e l’invenzione è stata realizzata nell’esecuzione e nell’adempimento di un contratto di lavoro, i diritti spettano al datore di lavoro, il quale però, in caso di brevetto, deve riconoscere un equo premio all'inventore, tenendo conto dell'importanza dell'invenzione, delle mansioni svolte, della retribuzione percepita dall’inventore e del contributo che questi ha ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro (art. 64, c.2 codice di proprietà industriale). In questo secondo caso, l’invenzione rappresenta qualcosa di “diverso” da quanto richiesto al dipendente anche se realizzato all’interno del rapporto di lavoro e collegato all’attività lavorativa dovuta. 

 

Cfr. artt. 62-64, Decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 Codice della proprietà industriale consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2005-02-10;30

Il brevetto di procedimento è disciplinato dall’art. 67 del codice di proprietà industriale, che stabilisce: «Nel caso di brevetto di procedimento, ogni prodotto identico a quello ottenuto mediante il procedimento brevettato si presume ottenuto, salvo prova contraria, mediante tale procedimento». Ricadono nell’ambito del brevetto di procedimento: a) il prodotto nuovo ottenuto mediante il procedimento; b) il prodotto identico fabbricato mediante il procedimento e di cui il titolare del brevetto non è riuscito, attraverso ragionevoli sforzi, a determinare il procedimento effettivamente attuato. In altre parole, se il titolare non esplicita quale sia stato il procedimento attuato, si presume che il prodotto derivi da quel procedimento.

Il brevetto dipendente riguarda i casi in cui l’invenzione rappresenti un importante progresso tecnico rispetto all’oggetto di un brevetto precedente, senza il quale il secondo non sussisterebbe. Il titolare del brevetto sull'invenzione precedente dovrà concedere una licenza obbligatoria al secondo inventore. L’ art. 71 del codice di proprietà industriale specifica il carattere della dipendenza stabilendo che: «Può essere concessa licenza obbligatoria se l’invenzione protetta dal brevetto non possa essere utilizzata senza pregiudizio dei diritti relativi ad un brevetto concesso in base a domanda precedente».

Peraltro, la norma instaura una reciprocità per cui: il titolare del brevetto sull’invenzione precedente ha diritto, a sua volta, alla concessione di una licenza obbligatoria a condizioni ragionevoli sul brevetto dell’invenzione dipendente (art. 71, c. 2 codice di proprietà industriale).  

Cfr. artt. 67 e 71, Decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 Codice della proprietà industriale consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2005-02-10;30

La disciplina sulle invenzioni da parte dei dipendenti subisce una deroga se si lavora per un'università o la pubblica amministrazione che abbia come scopo finalità di ricerca. In questo caso, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. In presenza di più autori, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione.

Le università e le pubbliche amministrazioni possono stabilire il canone per l’uso dell’invenzione ma, in ogni caso, l’inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione. Se il canone non viene fissato, alle università o pubbliche amministrazioni spetta il 30 per cento per proventi o canoni.

Se dopo cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, l'inventore non ne ha ancora cominciato lo sfruttamento industriale, questo può essere sfruttato gratuitamente ma non esclusivamente dalla pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione , acquisendone dunque i diritti patrimoniali, o può farlo sfruttare da terzi. Resta fermo il diritto dell’inventore di esserne riconosciuto come autore. 

Tutto ciò però non riguarda i casi in cui le ricerche siano finanziate in tutto o in parte da soggetti privati o realizzate in ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici, diversi dall'università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore.

 

Cfr. art. 65, Decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 Codice della proprietà industriale consultabile in https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2005-02-10;30

Brevettare significa concedersi l’esclusiva dell’utilizzo dell’invenzione. Si tratta di una scelta condizionata da alcune valutazioni. Di solito si sceglie la via del brevetto quando l’invenzione è realmente innovativa, ha già un suo mercato (tanto più se in espansione), sono possibili gli sviluppi industriali (per esempio esistono già contatti aziendali) ed è stato raggiunto un buon livello di maturità tecnologica. Al contrario non sono buone ragioni per brevettare se lo si fa solo per la valutazione e gli avanzamenti di carriera, o solo perché altri non sfruttino la propria invenzione, o se questa potrebbe andare sul mercato solo dopo molto tempo.

Open Science e Open Access

L'Open Science, in italiano “Scienza Aperta”, è un approccio al lavoro scientifico basato sulla collaborazione e la condivisione di tutti i passaggi del lavoro di  ricerca il prima e il più ampiamente possibile. Questo si ottiene conducendo la ricerca, pubblicandola e valutandola in modo diverso, ovvero condividendo  metodologie, strumenti, dati della ricerca. L’obiettivo è una scienza più solida, trasparente, partecipata, revisionabile e confutabile, rispondente ai bisogni della società, a beneficio di tutti. Sono, infatti, caratteri dell’Open Science la riproducibilità, la collaborazione, la correttezza, la trasparenza e l’equità.

Per accesso aperto (Open Access) si intende «la pratica di fornire accesso online ai risultati della ricerca a titolo gratuito per l’utente finale e senza limitazioni di utilizzo e riutilizzo oltre la possibilità di esigere il riconoscimento dell’autore» (Direttiva 2019/1024/UE).

L’accesso aperto ha lo scopo di assicurare ai ricercatori e alla collettività la conoscenza di dati e risultati della ricerca il prima possibile, facilitandone il riutilizzo. Le politiche di accesso aperto sono finalizzate a ottenere una migliore qualità dell’attività di ricerca, evitare duplicazioni e favorire l’innovazione, contrastando allo stesso tempo frodi scientifiche, poiché tutto il processo è trasparente. All’accesso aperto si accompagnano modalità di pianificazione e gestione dei dati standardizzate che si fondano su principi FAIR in base ai quali i dati devono essere reperibili (Findable), accessibili  (Accessible), interoperabili (Interoperable) e riusabili (Reusable).

Cfr. Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 200, Attuazione della direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico (rifusione), G.U. n. 285 del 30.11.2021 https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2021-11-30&atto.codiceRedazionale=21G00213&elenco30giorni=true

Accesso aperto vuol dire rendere i risultati della ricerca liberamente accessibili secondo due modalità alternative: o depositando in un archivio aperto un contenuto pubblicato in qualsiasi tipo di rivista, oppure pubblicando su riviste scientifiche ad accesso aperto.

Il deposito in un archivio aperto avviene attraverso l’auto-archiviazione (self-archiving) dei propri lavori di ricerca pubblicati su qualsiasi sede editoriale, previa verifica delle policies editoriali (consultabili anche attraverso SHERPA-ROMEO, https://v2.sherpa.ac.uk/romeo/): la maggioranza degli editori commerciali consente il deposito. Spesso la versione consentita per il deposito non è quella effettivamente pubblicata, con il marchio editoriale, paginazione e layout dell’editore (spesso definita Version of Record, VoR) ma la versione accettata per la pubblicazione - ossia quella che contiene tutti i commenti dei revisori ma non la forma grafica della rivista (spesso definita Author's Accepted Manuscript, AAM).

Pubblicare in riviste interamente Open Access (quelle elencate in DOAJ, la Directory of Open Access Journals) significa pubblicare direttamente in riviste peer reviewed che offrono gratuitamente il loro contenuto per tutti, senza restrizioni. Questo tipo di riviste può richiedere agli autori il pagamento delle cosiddette APC - Article Processing Charges, che vengono pagate una volta per sempre e aprono il contenuto per tutti.

Sono entrambe delle modalità di Open Access, con alcune differenze.

Con l’auto-archiviazione (Green OA o Green road) l’autore pubblica nelle proprie riviste di riferimento (es. la rivista con alto Impact Factor) e poi deposita la copia di una pubblicazione nel proprio archivio istituzionale o in altro repository "trusted". Questa pratica è fondamentale perché consente ai ricercatori di adeguarsi ai criteri di valutazione correnti, senza quindi danneggiare la propria carriera, al tempo stesso di “liberare” la propria produzione scientifica, che rimarrebbe altrimenti chiusa dietro riviste ad  abbonamento. La politica di deposito va verificata sulla banca dati SHERPA ROMEO, https://v2.sherpa.ac.uk/romeo/, è sempre gratuita e richiede pochi minuti.

Nella pubblicazione ad accesso aperto (Gold OA o gold road) l’autore pubblica direttamente i risultati della ricerca in riviste o monografie ad accesso aperto soggette a peer review, oppure in piattaforme editoriali tipo Open Research Europe, che adottano la open peer review. Possono esserci dei costi (APC-Article Processing Charges), tuttavia le APC sono pagate da una sola istituzione, una volta per tutte, e aprono il contenuto per tutti. Invece gli abbonamenti tradizionali - per cui si stima siano stati spesi solo nel 2021 10 miliardi di dollari - vengono pagati da tutte le istituzioni, ogni anno, e chiudono il contenuto a  chi non ha abbonamento.

Esiste anche un ulteriore modello, adottato da molte delle riviste Open Access: il cosiddetto “Diamond”, in cui non si paga né per leggere né per pubblicare.

Da non confondere le riviste interamente Open Access con l’opzione ibrida offerta dagli editori commerciali (Nature, Elsevier, eccetera): in questo caso la rivista resta ad abbonamento e il singolo articolo - sempre a pagamento - diviene Open Access. Il modello ibrido genera per le istituzioni un doppio  pagamento (per l'abbonamento e per l'Open Access al singolo articolo), e sarebbe quindi da evitare. Nei progetti finanziati da Horizon Europe le pubblicazioni in riviste ibride non possono essere pagate con fondi di progetto.

Nei progetti finanziati dalla Commissione Europea il deposito in un repository Open Access è richiesto anche nel caso in cui si pubblichi in riviste Open Access (gold road) ed in generale è considerata una buona prassi per garantire la conservazione a lungo termine.

La Direttiva 2003/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003 sul riuso dell'informazione del settore pubblico definisce "riutilizzo" «l'uso di documenti in possesso di enti pubblici da parte di persone fisiche o giuridiche a fini commerciali o non commerciali diversi dallo scopo iniziale nell'ambito dei compiti di servizio pubblico per i quali i documenti sono stati prodotti» (art. 2, n.4).

Tale direttiva esplicita il  principio generale secondo il quale gli Stati membri provvedono  a far sì che  quando il riuso di documenti della pubblica amministrazione è consentito, i medesimi documenti sono riutilizzabili a   fini  commerciali  o  non commerciali e se possibile, vanno messi a disposizione in formato elettronico  (art. 3) .

L’esigenza di riutilizzo è stata ribadita nella recente Direttiva 2019/1024 che è intervenuta in maniera più sistematica rispetto alla precedente sulle condizioni e prerogative del riutilizzo. Nel Preambolo si specifica che «Affinché il riutilizzo dei documenti del settore pubblico avvenga in condizioni eque, adeguate e non discriminatorie, le modalità di tale riutilizzo devono essere soggette a una disciplina generale. Gli enti pubblici raccolgono, producono, riproducono e diffondono documenti in adempimento dei loro compiti di servizio pubblico. Gli enti pubblici raccolgono, producono, riproducono e diffondono documenti allo scopo di fornire i servizi di interesse generale. L'uso di tali documenti per altri motivi costituisce riutilizzo. Le politiche degli Stati membri possono spingersi oltre le norme minime stabilite dalla presente direttiva, consentendo un più ampio riutilizzo» .

In linea di massima, la Direttiva 2019/1024 stabilisce che il riutilizzo non dovrebbe essere soggetto a condizioni, ma in ragione di un interesse pubblico è possibile che venga rilasciata un licenza volta a imporre al titolare condizioni di riutilizzo riguardanti questioni come la responsabilità, la protezione dei dati di carattere personale, l’uso corretto dei documenti e la garanzia di non alterazione della fonte. Le licenze dovrebbero, tuttavia, imporre il minor numero possibile di restrizioni al riutilizzo ed è opportuno che gli Stati incoraggino l’uso di licenze aperte .

Le condizioni poste al riutilizzo non devono rappresentare un limite o comportare discriminazioni per categorie analoghe di riutilizzo e non dovrebbe essere impedita l’adozione di una politica di tariffe differenziate per il riutilizzo a fini commerciali e non commerciali.

Cfr.Direttiva 2003/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003 relativo al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, G.U.U.E.  31.12.2003 L 345/90 consultabile in https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2003:345:0090:0096:IT:PDF

Cfr. Direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico (rifusione), G.U.U.E., 26.6.2019 L 172/56 consultabile in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L1024&rid=1 In particolare si vedano: Preambolo, par. 44; art. 2 n. 5; art. 5, par.46 ; par. 54; art. 1 c. 2 lett. c), art. 1 c.5; art. 3; art.10

Ai sensi della Direttiva 2019/1024, i diritti di proprietà che non dovrebbero essere lesi dall’apertura dei dati e dal riutilizzo sono esclusivamente il diritto d’autore e i diritti connessi. Sono, altresì, comprese le forme di protezione sui generis. Non sono pregiudicati i diritti di proprietà intellettuale di cui godono gli enti pubblici. L’ente pubblico dovrebbe esercitare  il proprio diritto di autore in maniera da agevolare il riutilizzo dei documenti.

La disciplina espressa nella Direttiva 2019/1024 non si applica ai documenti soggetti a diritti di proprietà industriale come brevetti, disegni e modelli registrati e marchi.

Gli obblighi espressi dalla direttiva 2019/1024 devono inoltre essere compatibili con quelli assunti in virtù di accordi internazionali sulla protezione dei diritti di proprietà  intellettuale (Convenzione di Berna) e il trattato sul diritto d’autore (WIPO Copyright Treaty -WCT).

  • Riguardo ai diritti di proprietà di terzi su documenti, la disciplina di cui alla Direttiva 2019/1024 non si applica e, infatti, è specificato come «Se un terzo detiene diritti di proprietà intellettuale su un documento in possesso di biblioteche, comprese le biblioteche universitarie, musei e archivi e il termine della durata della protezione non è ancora scaduto, tale documento dovrebbe essere considerato, ai fini della presente direttiva, un documento su cui dei terzi detengono diritti di proprietà intellettuale». 

Cfr. Preambolo par. 54, Direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico (rifusione), G.U.U.E., 26.6.2019 L 172/56 consultabile in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L1024&rid=1

Cfr. Preambolo par. 55, Direttiva (UE) 2019/1024 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa all’apertura dei dati e al riutilizzo dell’informazione del settore pubblico (rifusione), G.U.U.E., 26.6.2019 L 172/56 consultabile in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L1024&rid=1

Licenze

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La Commissione europea ha adottato la licenza Creative Commons Attribution 4.0 International Public License (CC BY 4.0) per i propri documenti (Decisione 2011/833/UE).

Si veda Commissione europea del 22.2.2019, Commission Decision of 22.2.2019 adopting Creative Commons as an open licence under the European Commission’s reuse policy, Brussels, 22.2.2019 C(2019)1655 final https://ec.europa.eu/transparency/documents-register/detail?ref=C(2019)1655&lang=en

Le parti di cui si “compone” una licenza CC sono:

  • la descrizione dei diritti e il funzionamento della licenza (Common Deed),

  • il contenuto giuridicamente vincolante tra le parti (Legal code),

  • la rappresentazione grafica e descrittiva della licenza.

La creazione di una licenza avviene attraverso la composizione del diverso contenuto della stessa:

  • Attribuzione: rappresenta la formula più semplice di licenza poiché impone soltanto il dovere di citare l’autore nel caso di uso del suo lavoro. Ne deriva che è consentito copiare, mostrare, distribuire e modificare l’opera e i lavori derivati (Attribution - BY);

  • Non commerciale: prevede l’utilizzo dell’opera per finalità non commerciali, rendendone comunque possibile le copie così come è consentito distribuire, mostrare e modificare l’opera e i lavori derivati (Non Commercial - NC);

  • Non opere derivate: non ammette modifiche o opere derivate ma consente il copiare, distribuire e mostrare solo copie identiche dell’opera (No Derivative Works - ND);

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