Uno dei fondamenti della scienza aperta è la trasparenza: di processi, dati, testi.
È quindi naturale che gli stessi principi che si applicano ai dati e alle pubblicazioni scientifiche, al codice e al software, valgano anche per i metadati che li descrivono.
I metadati che descrivono le pubblicazioni scientifiche fino a poco tempo fa erano custoditi esclusivamente in banche dati proprietarie che li mettevano a disposizione a pagamento e che imponevano forti restrizioni alle possibilità di riuso. Se un ricercatore faceva uno studio scientometrico si poteva rivolgere esclusivamente a Scopus o WOS, firmando per lo più accordi di riservatezza che gli impedivano la condivisione dei dati grezzi.
Una istituzione che deve prendere decisioni informate, strategiche ed evidence based, deve fare un atto di fede rispetto ai dati a disposizione, perché non possono essere verificati né corretti. Sui dati dei database bibliometrici dovevano essere poi effettuate una serie di attività di data cleaning perché anche in questi costosissimi strumenti, i dati sono tutt’altro che perfetti (in alcuni casi persino manipolati, come ricostruito in un recente post di Retaction Watch qui ripreso in italiano).
In alcuni Paesi, tra cui l’Italia, i dati di questi database sono considerati la base per la costruzione di indicatori bibliometrici che decidono il destino accademico delle persone, come per esempio quelli legati alla Abilitazione scientifica nazionale che influenzano anche l’accreditamento dei dottorati di ricerca e addirittura alcuni indicatori del FFO (indicatore I fondo borse Post Lauream). Si pensi ad esempio al fatto che il raggiungimento o meno di una soglia (numero di articoli indicizzati nelle banche dati di riferimento) dipende dai tempi di indicizzazione di un articolo, anche se la rivista è indicizzata da anni, o che la decisione unilaterale di indicizzare separatamente i preprint per l’area di Matematica abbia fatto abbassare notevolmente gli indicatori dei ricercatori di quest’area.
Le banche dati come WOS e Scopus oltre a presentare errori evidenti come la indicizzazione di sedi editoriali predatorie come visto sopra, hanno criteri di inclusione fortemente biased dal punto di vista linguistico e geografico, e lasciano poco spazio a forme di pubblicazione diverse dall’articolo scientifico.
Segni di insoddisfazione si cominciano a cogliere nella decisione della Sorbona, all’inizio del 2024, di non rinnovare l’abbonamento a WOS (non avendo mai sottoscritto quello a Scopus) e dalla decisione del CNRS di sospendere l’abbonamento a Scopus.
La Sorbona e il Ministero della ricerca francese hanno deciso di adottare OpenAlex come strumento per la analisi delle attività di ricerca di ricercatori, istituzioni e gruppi, e come strumento per orientare scelte e decisioni.
L’università di Leiden pubblica il proprio ranking 2024 in due versioni, una utilizzando i dati di WOS e una utilizzando dati aperti di Open Alex e finalmente accanto al ranking riesce a pubblicare l’intero dataset che può essere analizzato da chiunque.
Open Alex è una infrastruttura aperta che lavora con dati e infrastrutture aperte (Crossref, ROR, ORCID, DOI) e attraverso tecnologie avanzate di machine learning mette in relazione pubblicazioni, autori, affiliazioni, finanziamenti con un set molto ricco di metadati. I dati sono licenziati con licenza CC0 e permettono quindi il riuso e la modifica.
È in questo contesto di insoddisfazione rispetto agli strumenti proprietari più diffusi e di consapevolezza del fatto che altri strumenti alternativi stanno evolvendo molto rapidamente, che nell’autunno del 2023 nasce la Barcelona Declaration (dal nome della città che ha ospitato l’incontro di un gruppo di studiosi e d esperti).
La Dichiarazione che può essere sottoscritta da qualsiasi istituzione, si basa su 4 principi molto semplici:
- Faremo in modo che l’apertura sia la norma per le informazioni sulla ricerca che utilizziamo e produciamo
- Lavoreremo con i servizi e i sistemi che supportano e rendono possibile l’informazione aperta sulla ricerca
- Supporteremo la sostenibilità delle infrastrutture per le informazioni aperte sulla ricerca
- Sosterremo l’azione collettiva per accelerare la transizione verso l’apertura delle informazioni sulla ricerca.
La Dichiarazione di Barcellona rappresenta un ulteriore e doveroso passo verso il complesso di infrastrutture aperte e scholar led che dovrebbero supportare la ricerca scientifica, i decisori e i ricercatori stessi. Diverse istituzioni attualmente stanno puntando su Open Alex, ma i quattro principi sopra declinati valgono in assoluto per qualsiasi strumento e infrastruttura che sia trasparente e permetta il riuso senza limitazioni.
La firma della Dichiarazione è ovviamente un primo passo, che deve essere seguito da una serie di azioni che traducano in pratica quanto sottoscritto.
L’università di Milano è stata fra i primi firmatari in Italia della Dichiarazione di Barcellona, e dall’inizio del 2023 si è impegnata ad utilizzare per le proprie analisi e per i propri documenti esclusivamente dati interni o dati di Open Alex. È in corso la elaborazione di una prima dashboard che verrà presentata in autunno e che traccia le collaborazioni dell’Università a livello di paesi, istituzioni e ricercatori, e il contributo dei ricercatori dell’ateneo ai 17 Sustainable Development Goals.
02 juillet 2024