Di fronte al diffondersi di esigenze di apertura e trasparenza emergono nuove formule all'interno dell'editoria scientifica, tra cui processi aperti di peer review e archivi di preprint. Vediamo l'esempio di una rivista not for profit, che ha annunciato di dismettere il meccanismo "accept/reject" nella gestione degli articoli, in favore di revisione paritaria trasparente e uso dei preprint
Mai come in questi ultimi anni un sistema consolidato e saldamente appaltato alla editoria commerciale come quello delle pubblicazioni scientifiche è stato sottoposto a mutamenti così radicali. Le esigenze di accessibilità, trasparenza e riproducibilità delle ricerche (soprattutto ma non solo se finanziate con fondi pubblici) sono state variamente declinate all’interno di un sistema definito Open science che coinvolge l’intero ciclo di vita di una ricerca, dalla sua progettazione alla pubblicazione e condivisione fino al possibile riutilizzo.
Se le tre dichiarazioni di Berlino, Budapest e Bethesda hanno posto i fondamenti per lo sviluppo di archivi istituzionali e disciplinari, più di recente si sono affermati gli archivi di preprint, come modalità di disseminazione precoce presso le comunità scientifiche dei risultati di una ricerca prima di essere sottoposta al processo formale di peer review.
Nel modello tradizionale di pubblicazione scientifica all’editore spetta sia tutta la attività di validazione che quella di disseminazione ed è l’editore, sulla base del sistema della peer review adottato (tipicamente double blind) che decide le sorti di una ricerca (accettata e pubblicata dopo che i commenti dei revisori sono stati presi in considerazione, o respinta).
Una prima modifica di questo sistema è arrivata dall’ambito dei fisici, con la creazione negli anni 90 del secolo scorso di ARXIV, il primo archivio di preprint, a cui sono seguiti SSRN, REPEC e più tardi BioRxiv, MedRxiv (sul sito asapBIO è possibile consultare la directory dei server di preprint attualmente esistenti).
I server di preprint sono stati fondamentali nel periodo della emergenza sanitaria perché hanno fornito una possibilità unica per i ricercatori di comunicare celermente i propri risultati. Ovviamente questa pratica di disseminazione ha le proprie controindicazioni rappresentate dal fatto che, come chiaramente dichiarato sui rispettivi siti, i preprint sono lavori non ancora sottoposti al processo di peer review e in questo senso possono contenere errori anche molto consistenti.
Il tema della validazione dei risultati è dunque centrale. Ed è ciò che rende le riviste scientifiche la fonte accreditata delle ricerche sviluppate dai nostri ricercatori. Questo sistema però, come possiamo verificare ogni giorno, non è infallibile. Decine di studi (a partire da quello di P. Ioannidis su Plos del 2005), ma anche l’accurato lavoro fatto da siti come Retraction watch o For Better science o il lavoro svolto da Elisabeth Bik sulla research integrity hanno mostrato tutte le falle di questo sistema.
I tentativi di innovazione non mancano. È di questi giorni la comunicazione di eLife (una iniziativa not for profit che si propone di innovare e fare evolvere le modalità attraverso le quali la ricerca è condotta e disseminata):
From next year, eLife will eliminate accept/reject decisions after peer review and focus on public reviews and assessments of preprints
Una rivoluzione nel mondo della editoria scientifica che ne mina i presupposti in maniera incontrovertibile. Ma come funzionerà?
L’intenzione è di pubblicare tutti i preprint che saranno stati sottoposti a peer review come preprint peer reviewed accompagnati da un editoriale a cura di eLife e dai report di revisione (e dalle eventuali risposte degli autori).
Quando si sottomette un lavoro ad eLife all’autore viene richiesto di inserire il DOI del sito di preprint in cui il lavoro è depositato. Se non è ancora stato fatto si procede alla submission anche in un sito di preprint. Se gli editor decidono che il lavoro può essere sottoposto a peer review si avvia un processo di revisione aperto. Durante questa fase editor e revisori discutono i punti di forza e debolezza del lavoro e alla fine gli editor scrivono un editoriale.
A questo punto, l’autore potrà decidere se modificare il proprio lavoro e risottometterlo per un nuovo giro di revisione o se confermare che quella pubblicata e peer reviewed è la versione finale (version of record). In questo caso il preprint sarà sostituito dalla versione finale del lavoro.
Tutti i preprint sottoposti a revisione verranno pubblicati sul sito di eLife. È facoltà dell’autore decidere di sottomettere il proprio lavoro dopo la peer review a un'altra rivista, fermo restando che il preprint e le revisioni resteranno a disposizione sul sito di eLife che nel limite del possibile si impegna ad indicare la sede di pubblicazione scelta.
È un bel cambiamento quello prefigurato da eLife, che però raccoglie una tendenza che sta via via diffondendosi e che mira ad assegnare il compito di disseminazione e di validazione a strumenti e soggetti diversi come descritto nel recente post “Preprints and open preprint review: a workshop on innovations in scholarly publishing”.
Sono molte, infatti, le piattaforme per la raccolta raccolta di review dei preprint sorte negli ultimi anni: peercommunityin, ReviewCommons, Prereview, Qeios. Le modalità con cui i revisori mettono a disposizione degli autori ma anche di tutta la comunità scientifica i propri report variano e lasciano al revisore la possibilità dell’anonimato, ma il contenuto delle revisioni è visibile da tutti, così come pure le risposte degli autori. Solo il tempo potrà dirci se stiamo andando nella direzione giusta e se accessibilità e trasparenza a tutti gli stadi dei processi di generazione della conoscenza permetteranno il superamento delle criticità presenti nel sistema della comunicazione scientifica.
10 novembre 2022