Economia e sistemi di finanziamento per l'editoria scientifica

Accesso e pubblicazioni
Image by Kevin Schneider from Pixabay

L'editoria scientifica è in evoluzione, passando dai tradizionali modelli ad abbonamento a sistemi Open Access diversificati. Tra modelli ibridi, costi elevati per pubblicare e leggere, e strategie commerciali delle grandi case editrici, la comunità accademica cerca soluzioni sostenibili per garantire l’accesso alla conoscenza. In questo scenario, il Diamond OA emerge come un’alternativa concreta. 

Il seguente articolo è un estratto dell'opuscolo divulgativo L'editoria scientifica in (poche) parole chiave, di Gina Pavone e Roberta Martina Zagarella, CNR edizioni, ISBN (ed. digitale) 978 88 8080 671 8 

Si paga per leggere o si paga per pubblicare. Per tanto tempo è stata sintetizzata (e banalizzata) così la differenza tra l’editoria scientifica ad abbonamento e quella Open Access. Cioè o si paga per acquistare gli abbonamenti, o si paga per pubblicare ad accesso aperto in modo che il contenuto sia disponibile per chiunque. Vale la pena specificare che nel modello ad abbonamento si acquista l’accesso per un determinato periodo di tempo, trascorso il quale se l’abbonamento non viene rinnovato, non si leggono più nemmeno i numeri che prima erano accessibili. E soprattutto che negli ultimi anni questo modello si è molto ridotto nella sua forma “pura”, a favore di una sistemazione in cui abbonamento ed APCs coesistono, diventando di fatto una versione ibrida in cui si vendono in contemporanea l’accesso al periodico (riservato agli abbonati) e l’Open Access sul singolo articolo (tutti possono leggere quel singolo contenuto).

Il mercato dell’editoria scientifica muove ogni anno qualcosa come 30 miliardi di dollari a livello internazionale (1). Questo enorme volume di affari è sostenuto da diversi modelli di business, ognuno con le proprie peculiarità e strategie per generare entrate.

Con l’emergere delle istanze a favore dell’Open Access e delle pratiche di Open Science – che cercano di favorire non solo la condivisione e la collaborazione, ma anche di facilitare il riuso dei prodotti della ricerca – sono emersi modelli variegati, in cui vari sistemi coesistono. Inoltre, ci sono alcune sfumature che vanno evidenziate quando si parla di chi sostiene i costi della comunicazione accademica.

La materia prima viene fornita dal lavoro scientifico, spesso sostenuto da finanziamenti pubblici. Tutto questo lavoro, compreso il processo di revisione, viene ceduto gratuitamente a una varietà di riviste scientifiche, che per buona parte appartengono a una manciata di grandi gruppi privati. Si stima che il 75% delle spese per abbonamenti vadano a 5 grandi publisher commerciali (2).

L’articolo scientifico è un’opera d’ingegno e in quanto tale è automaticamente protetta dal diritto d’autore, che comporta due principali categorie di diritti: i diritti morali, inalienabili (l’autore sarà sempre l’autore dell’opera), e i diritti commerciali, che possono essere ceduti e tra cui rientra il diritto di copia e distribuzione.

Nell’editoria scientifica ad abbonamento, prima che un articolo scientifico venga pubblicato, avviene un passaggio fondamentale: l’autore e l’editore sottoscrivono un contratto di edizione: un accordo legale con cui con cui l’autore concede all’editore il diritto di pubblicare e distribuire la sua opera scientifica. Ed è in questo passaggio che di solito avviene la cessione del copyright, ovvero dei diritti di sfruttamento commerciale dell’opera con l’assegnazione di una licenza che impedisce qualsiasi forma di redistribuzione e sfruttamento commerciale, riservando tali diritti all’editore. Dunque l’opera non può più essere liberamente redistribuita, e nemmeno depositata in un repository. Questo limita la diffusione della conoscenza e ostacola la collaborazione scientifica. Per superare il forte limite all’accesso e al riuso della letteratura scientifica, molti ricercatori e istituzioni aderiscono a modelli di pubblicazione Open Access.

Di recente sono state anche promosse forme di mantenimento del copyright (rights retention) da parte del ricercatore, che nel corso degli scambi delle varie versioni editoriali deve esplicitare la volontà di mantenere il diritto di redistribuire la sua opera. In alternativa l’autore può scegliere di richiedere la pubblicazione in Open Access. Nel cosiddetto “modello ibrido” questa possibilità è nota come “Open Access choice” e non corrisponde al Gold Open Access, in quanto il pagamento delle APCs convive con il modello di business ad abbonamento.

L’istituzione di chi sceglie l’“Open Access choice” potrebbe dunque trovarsi a pagare più volte lo stesso contenuto: una situazione considerata inaccettabile da più enti finanziatori, che non ammettono più le spese di pubblicazione per riviste ibride, dove si applicano in contemporanea i due modelli di business. Tra questi rientra per esempio il programma di finanziamento Horizon Europe.

 

Un aspetto importante su cui riflettere è come vengono spese le risorse pubbliche, in un contesto come quello della ricerca in cui si sottolinea sempre che le risorse sono limitate, e considerando che i costi per l’accesso alle pubblicazioni scientifiche sono vertiginosi. Tanto per dare un ordine di grandezza, i dati ISTAT ci dicono che nel 2021 l’Italia ha speso in ricerca e sviluppo l’1,45% del proprio Prodotto Interno Lordo (3). Per converso è estremamente difficile stimare quanto viene speso per riacquistare l’accesso ai contenuti scientifici, in quanto le informazioni sono frammentate tra le tante istituzioni coinvolte e spesso trincerate dietro accordi commerciali poco trasparenti. Tanto per avere un’idea, dal 2019 al 2023 si stima che a livello globale siano stati spesi oltre 8 miliardi di dollari solo in APCs (dunque senza gli abbonamenti), andati tutti alla solita manciata di pochi publisher commerciali (5).

Nel giro di pochi anni si è assistito all’aumento della quota di business rappresentata dalle APCs per gli editori commerciali, che hanno messo in atto un comportamento adattivo di fronte alle crescenti richieste per l’accesso aperto da parte di ricercatori, comunità di ricerca ed enti finanziatori. Si stima infatti che il costo delle APCs sia triplicato e il loro costo nei giornali ibridi abbia superato quello per le riviste completamente ad accesso aperto (dunque le tariffe applicate dagli editori che guadagnano anche dagli abbonamenti sono più alte rispetto alle riviste Gold Open Access) (5). Alcuni grandi editori scientifici applicano tariffe che arrivano a sfiorare i diecimila euro ad articolo. 

La crescita del modello ibrido è stata in parte sostenuta anche dalla diffusione dei cosiddetti “accordi trasformativi”, cioè contratti tra enti finanziatori e grandi editori scientifici per includere, nelle cifre pattuite per la lettura, anche un numero prestabilito di articoli ad accesso aperto pubblicati da ricercatori dell’ente contraente. Il termine trasformativi serviva a indicare il passaggio a un modello diverso, in cui le cifre pagate dalle biblioteche accademiche, pur rimanendo enormi, servissero quantomeno a rendere la conoscenza aperta e liberamente disponibile invece che chiusa dietro un paywall. Tuttavia emerge il timore che questa transizione non stia avvenendo e di fatto si stia alimentando il sistema in cui alle consolidate fonti di guadagno se ne aggiungono di nuove, sempre per lo più a spese pubbliche (6).

Di fronte a un sistema di comunicazione accademica diventato variegato e composito, formato da una mescola di modelli diversi, al momento riceve particolare attenzione il cosiddetto “modello Diamond”, in cui non si paga né per leggere né per pubblicare, e in cui costi di pubblicazione sono sostenuti da enti di ricerca, agenzie finanziatrici, consorzi o società scientifiche. Attualmente, si sta ancora discutendo sui criteri da aggiungere a quelli economici per rientrare nella definizione di Diamond OA, tra cui ad esempio che sia “community owned” intendendo che la proprietà e la gestione delle risorse sono nelle mani della comunità accademica stessa, piuttosto che di editori commerciali.

 

  1. Luca De Fiore, Sul pubblicare in medicina (Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2024).

  2. Lai Ma, “The Platformisation of Scholarly Information and How to Fight It,” LIBER Quarterly: The Journal of the Association of European Research Libraries 33, no. 1 (2023): 1–20, https://doi.org/10.53377/lq.13561.

  3. Il dato si riferisce all’incidenza della spesa per R&S “intra-muros”, cioè riferita alle attività svolte internamente da un’organizzazione, utilizzando il proprio personale e le proprie attrezzature. Fonte: Istat, Sviluppo e ricerca in Italia, anni 2021–2023 (Roma: Istat, 2023), https://www.istat.it/it/files//2023/09/REPORT_RS_2023.pdf.

  4. Silvana Mangiaracina, “Open Access, dalla parte dei ricercatori: il ruolo delle biblioteche,” Etica e pragmatica dell’Open Access. Incontri e conversazioni al CNR, Roma, 3 marzo 2021, Zenodo, https://doi.org/10.5281/zenodo.4575402.

  5. Stefanie Haustein, Eric Schares, Juan Pablo Alperin, Madelaine Hare, Leigh-Ann Butler, e Nina Schönfelder, “Estimating Global Article Processing Charges Paid to Six Publishers for Open Access Between 2019 and 2023,” arXiv:2407.16551 [cs.DL], 2024, https://doi.org/10.48550/arXiv.2407.16551.

  6. Constance Bakker, Alexandra Langham-Putrow, e Adam Riegelman, “The Impact of Transformative Agreements on Publication Patterns: An Analysis Based on Agreements from the ESAC Registry,” International Journal of Librarianship 8, no. 4 (2024): 67–96, https://doi.org/10.23974/ijol.2024.vol8.4.341.

Gina Pavone

Gina Pavone si occupa di Open Science e Open Access all'Istituto di scienza e tecnologie dell'informazione del CNR. Temi su cui svolge anche attività di formazione e supporto all’interno del Competence Centre di ICDI. Coordina il sito open-science.it, è giornalista esperta di analisi di dati, ha conseguito la laurea magistrale in editoria e giornalismo alla Sapienza di Roma e ha ottenuto il master di secondo livello in big data analytics and social mining all'università di Pisa. Ha partecipato a campagne per l'apertura di dati pubblici e per la trasparenza di istituzioni e amministrazioni pubbliche e ha lavorato come data analyst e data journalist.

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Roberta Martina Zagarella

Roberta Martina Zagarella è responsabile dell’Unità di Ricerca sulla Valutazione etica della ricerca scientifica presso il Centro Interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CID Ethics-CNR). Presso il CNR, è inoltre responsabile della segreteria scientifica della Sottocommissione permanente per le Ethical Clearance della Commissione per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca, nonché del gruppo di lavoro dedicato all’elaborazione, revisione e aggiornamento del documento “Crescenti rischi di un’editoria predatoria: raccomandazioni per i ricercatori”.

Ha conseguito un PhD in “Filosofia del Linguaggio, della Mente e dei Processi Formativi” (Palermo) e uno in “Langues et Lettres” (Bruxelles). I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’etica e l’integrità nella ricerca, l’etica della pubblicazione scientifica e la comunicazione in ambito clinico-sanitario. Attualmente è responsabile del Task che monitora e gestisce le questioni etiche del progetto PNRR “FOSSR - Fostering Open Science in Social Science Research” ed è divenuta Mentor della piattaforma PEP-CV (Peer Exchange Platform for Narrative-style CVs).

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