Quando la scienza informa le scelte politiche, tra ricerca dell’oggettività e del compromesso

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È erroneo pensare che la conoscenza prodotta dalla ricerca si riversi direttamente, come in un rapporto causa-effetto, nelle decisioni politiche. Serve invece un approccio più complesso e sfaccettato alla consulenza scientifica, oltre a una comunicazione della scienza consapevole, fondamentale per facilitare la comprensione e stabilire legami di fiducia. Questi temi sono stati trattati durante il workshop del progetto Skills4EOSC, tenutosi a Roma il 30 e 31 gennaio 2025. Nell'articolo ne ripercorriamo gli spunti principali

Se la conoscenza scientifica producesse direttamente decisioni politiche, quasi in un rapporto causa-effetto, osserveremmo un modello sostanzialmente lineare. Un simile modello è però fortemente limitato. Da questa premessa è partito Alessandro Allegra, science policy practitioner presso il DG-Research and Innovation (DG-RTD) della Commissione Europea e ricercatore in STS (Science, Technology and Society), intervenuto come speaker al workshop organizzato dal progetto Skills4EOSC e tenutosi a Roma il 30 e 31 gennaio 2025. Tema protagonista del workshop è stato proprio il rapporto tra scienza e policy making, di cui i vari speaker hanno illustrato aspetti e tecniche durante i due giorni di attività. 

Il rapporto scienza – policy making ed i limiti del “modello lineare”

Secondo questo “modello lineare”, ci sarebbe dunque un passaggio diretto e immediato dai fatti scientifici alle decisioni politiche. Questa visione suggerisce che raggiungere un accordo in merito alla conoscenza scientifica costituisca un prerequisito per maturare il consenso politico e conseguentemente l’azione politica (Pielke, 2007). Ma si tratta di un modello inaccurato da un punto di vista descrittivo oltre che normativamente indesiderabile.

La politica non maneggia soltanto fatti, ma gestisce istanze valoriali e interessi divergenti. Per dirla con le parole di Daniel Sarewitz, “politics isn’t about maximizing rationality, it’s about finding compromises that enough people can live with”. Questioni diverse implicano differenti livelli di coinvolgimento di valori e interessi; ma è raro che non si ponga la necessità di operare negoziazioni e trade-off, anche in situazioni all’apparenza “neutrali”.

Il caso del cambiamento climatico è lampante: di contro a coloro che sostengono che la soluzione non possa che derivare dall’individuazione di un modello esplicativo e predittivo migliore, spesso il problema è identificabile nella difficoltà di integrare i risultati delle discipline coinvolte, le quali descrivono il mondo in modi diversi e in maniera non neutrale da un punto di vista normativo (Sarewitz, 2003). Accordare la priorità ad uno o più aspetti tra “climate impacts, weather impacts, biodiversity, land use, energy production and consumption, agricultural productivity, public health, economic development patterns, material wealth, demographic patterns” (Sarewitz, 2003, p. 389), comporta infatti la giustificazione di determinate politiche piuttosto che di altre. Ognuno dei distinti modi di guardare alla questione ambientale incarna valori e interessi divergenti.

Il modello lineare risulta inadeguato anche per un’altra ragione: la scienza, nel suo tentativo di rappresentare fedelmente i fatti del mondo, è a sua volta dipendente dal contesto (materiale, sociale, ambientale) del ricercatore e dalle lenti scelte per interpretare fenomeni e dati. L’idea che la scienza sia spuria da preconcetti ed influenze sociali è da decenni sfidata da una folta schiera di sociologi e filosofi della scienza (Bucchi, 2002).

La figura dell’honest broker nel contesto europeo

Sulla base dell’indesiderabilità e scorrettezza del modello lineare, Allegra ha poi esplicitato il ruolo differente del ricercatore all’interno della comunità scientifica – dove risponde a domande eminentemente conoscitive – e all’esterno di essa, quando deve confrontarsi con richieste precise da parte della società. In tale circostanza, cambiati i panni e divenuto “esperto”, si trova di fronte a tre opzioni: può semplicemente rispondere alle domande di natura scientifica che gli vengono poste; può direzionare verso una soluzione, restringendo il campo della decisione, inserendo più o meno surrettiziamente considerazioni normative che fanno capo a sue convinzioni; oppure può definire un quadro che includa tutte le informazioni che riesce a raccogliere sul fenomeno in oggetto, includendo eventuali consigli e raccomandazioni.

In questo caso, agendo come un “honest broker” (Pielke, 2007), non si esporrà eccessivamente su una soluzione, ma anzi opererà nella direzione di un ampliamento dello spazio di scelta.

Quest’ultimo rappresenta il caso privilegiato nei processi decisionali dell’Unione Europea. La consulenza scientifica nella forma dell’honest brokering ne costituisce una pietra miliare anche alla luce del fatto che il policy making all’interno di essa è prevalentemente legato a questioni tecniche, in particolar modo all’individuazione di standard comuni. Lo Scientific Advice Mechanism to the European Commission (SAM) prevede l’integrazione della conoscenza e dell’opinione degli scienziati su temi di interesse attraverso il ricorso a sette esperti nominati dalla Commissione Europea, informati a loro volta dal network SAPEA, che unisce 110 accademie scientifiche con un bagaglio di prove scientifiche indipendenti.

I rischi politici dell’ideale dell’oggettività e della razionalità scientifica

Può risultare utile rapportare le riflessioni di Allegra alla questione della datificazione e digitalizzazione della scienza. Si tratta di processi alla base della scienza aperta, verso i quali essa procede in virtù delle qualità metodologiche che portano con sé, come la possibilità di condividere dati e risultati in maniera estesa e di garantire la riproducibilità degli esperimenti. Tuttavia, l’interesse da parte della politica in una scienza (e non solo) sempre più digitale e datificata sembra anche essere legato al fatto che tali caratteristiche possono dare l’idea di un’oggettività super partes che, idealmente, va d’accordo con la democrazia (Porter, 1995). Rafforzando ulteriormente il modello lineare, l’adagio “lo dicono i dati” può costituire uno strumento politico efficace nel tentativo di gestire il conflitto tra valori e idee. Attraverso di esso si può dare l’impressione di prendere decisioni sulla base del “vero” e dell’“oggettivo”, spostando la responsabilità altrove per evitare biasimo e colpa.

La consapevolezza del fatto che anche la ricerca scientifica non sia immune da valori e interessi e della non-desiderabilità dell’“espertocrazia” è fondamentale soprattutto in relazione alla digitalizzazione della ricerca scientifica e all’uso di algoritmi di intelligenza artificiale. I dati (data) sono sempre “presi” (capta) (Pievatolo, 2024): il modo in cui sono costruiti, raccolti, categorizzati e analizzati è il risultato di scelte da parte del ricercatore. D’altro canto, una scelta all’apparenza “efficiente” e “razionale”, quando non informata da un dibattito inter-soggettivo sul piano politico e valoriale, può risultare politicamente, eticamente e socialmente dannosa.

L’importanza di un ufficio per la comunicazione scientifica nelle università e negli enti di ricerca

Uno dei pilastri dell’Open Science è l’idea che la conoscenza scientifica debba essere accessibile a tutti. Questo principio si traduce nella gratuità e nell’apertura, non solo dei risultati della ricerca, ma anche dei dati su cui si fondano e degli strumenti utilizzati per produrli. Se l’accesso ai prodotti della ricerca è fondamentale per la comunità scientifica, la sua applicazione nei confronti dei non esperti passa inevitabilmente attraverso la divulgazione. Di questo, e più in generale di comunicazione della scienza, ha parlato Joana Lobo Antunes, direttrice della comunicazione presso l’Instituto Superior Técnico di Lisbona.

Ad ognuno il suo mestiere, ma uniti nella comunicazione

In Italia, questa attività rientra nella Terza Missione, ed è pertanto uno degli impegni principali per le Università. Tuttavia, la divulgazione fatica ancora a conquistare una posizione centrale tra le priorità degli atenei e dei ricercatori, spesso vista come un’attività secondaria rispetto alla ricerca, che è considerata il vero mestiere dello scienziato.

Sebbene ci sia del vero in questa visione – la comunicazione è, senza dubbio, un mestiere serio e non ci si può improvvisare divulgatori – è errato considerare la comunicazione scientifica come meno importante della ricerca stessa. Tra gli obiettivi dell'Open Science vi è anche la diffusione della cultura scientifica a un pubblico il più ampio possibile. Per raggiungere questo scopo è necessario un lavoro sinergico tra scienziati e comunicatori, che si svolga all’interno delle istituzioni di ricerca.

Un esempio virtuoso di collaborazione

Un esempio significativo di questa sinergia è quello del Técnico, presentato da Antunes, dove scienziati e comunicatori lavorano fianco a fianco per spiegare al grande pubblico cosa fanno gli scienziati e perché il loro lavoro è importante, utile per la società e anche affascinante. Nel corso degli anni, hanno ottenuto risultati straordinari, come il premio Podes per il miglior podcast nel 2022 per la categoria Scienza, Tecnologia e Educazione.  Il segreto di questi successi è anche l’esistenza di un ufficio per la comunicazione scientifica che si dedica fortemente alla divulgazione. L’attività di questo ufficio è variegata: si spazia dalla formazione del personale scientifico sulle basi della comunicazione alla creazione di contenuti social. Questi contenuti sono destinati a diversi tipi di pubblico e sono progettati per essere diffusi attraverso le piattaforme più utilizzate dal target di riferimento. Oltre a ciò, vengono promosse anche attività più classiche di public engagement, ma reinterpretate in chiave digitale per raggiungere un pubblico più ampio possibile. Un esempio significativo è il format “Spiegamelo come se avessi cinque anni”, pensato per un pubblico di scuola primaria. In questi incontri, gli scienziati del Técnico spiegavano la loro ricerca in modo semplice e comprensibile per i bambini. Gli interventi sono stati registrati e caricati su YouTube, diventando uno strumento prezioso per chiunque voglia avvicinarsi a temi scientifici complessi.

L’importanza di investire sulla comunicazione

Le attività di comunicazione scientifica rivestono un ruolo cruciale non solo per favorire la diffusione della cultura scientifica, ma anche, come sottolineato da Antunes, per rispondere alla questione della public accountability.

In altre parole, è fondamentale restituire alla società, in modo chiaro, trasparente e, perché no, coinvolgente, come vengono utilizzati i fondi pubblici destinati alla ricerca. Questo tipo di impegno contribuisce a rafforzare il legame di fiducia tra la comunità scientifica e il pubblico, un legame che negli ultimi anni ha subito un preoccupante indebolimento.

Inoltre, le attività di comunicazione scientifica possono aprire nuove opportunità occupazionali per i ricercatori, favorendo al contempo possibilità di collaborazione con realtà esterne agli enti di ricerca. Infine, come ricordato da Antunes, alcuni studi hanno evidenziato che gli scienziati impegnati nella comunicazione della scienza tendono a ottenere una maggiore produttività nella ricerca.

La necessità di fare pratica

Il secondo giorno di workshop è stato dedicato alla pratica di quanto appreso nel giorno precedente. Petra Buljević Zdjelarević e Marko Košiček, professionisti della comunicazione del Ruđer Bošković Institute di Zagabria, hanno guidato i partecipanti attraverso attività pratiche e giochi di ruolo per evidenziare le difficoltà della comunicazione. Un gioco di ice-breaking ha mostrato quanto sia complesso comunicare efficacemente, soprattutto quando il tempo è limitato e non è possibile dare o ricevere feedback.

Il cuore della giornata è stato il gioco di ruolo: quattro turni di tavole rotonde simulate, registrate con telecamere professionali e microfoni come in uno studio televisivo. Ogni tavola rotonda è stata filmata, e in seguito il video è stato riprodotto e analizzato. L'intento dell'attività era fare in modo che i partecipanti si vedessero in prospettiva tecnica e ricevessero feedback dettagliati sulle modalità sull'efficacia della propria comunicazione.

Riferimenti bibliografici

Bucchi, M. (2002). Scienza e Società. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Pielke, Jr R. A. (2007), The Honest Broker: Making Sense of Science in Policy and Politics. Cambridge University Press.

Pievatolo, M. C. (2024), Uomini, dati e SALAMI: una questione scientifica aperta. Presentazione presso il Convegno “Intelligenza artificiale e ricerca scientifica: minacce ed opportunità in un contesto di scienza aperta”, Milano, 30/09/2024. https://doi.org/10.5281/zenodo.13863140

Porter, T. M. (1995), Trust in Numbers: The Pursuit of Objectivity in Science and Public Life. U.P. Princeton.

Sarewitz, D. (2003), How science makes environmental controversies worse, Environmental Science & Policy, 7(5), 385-403.

Anna Bertelli

Anna Bertelli lavora per ESFRI (European Strategy Forum on Research Infrastructures), del quale cura le pubblicazioni e gestisce la produzione della Roadmap e il monitoraggio delle infrastrutture. Collabora in iniziative che coinvolgono congiuntamente ESFRI ed EOSC (European Open Science Cloud). Da tale prospettiva, osserva e studia da vicino il rapporto tra scienza e politica e le pratiche di Open Science. Si è laureata in Filosofia all’Università di Pavia e presso lo IUSS in Scienze Umane.

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Melania Acciai

Melania Acciai lavora per il progetto StR-ESFRI (Support to Reinforce the European Strategy Forum on Research Infrastructures), occupandosi della produzione della Roadmap ESFRI e della collaborazione in iniziative congiunte con EOSC (European Open Science Cloud). Laureata in Filosofia all’Università di Pavia, ha focalizzato i suoi studi sulla Filosofia della Scienza e l’Epistemologia Sociale. Da questa prospettiva si occupa del rapporto tra scienza e società e delle pratiche di Open Science.

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