Chi ha paura dei nuovi modelli di pubblicazione?

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Il modello di pubblicazione tradizionale è poco trasparente e affetto da vari problemi e pressioni. Lo stesso vale per la peer review, considerata parte integrante di questo sistema. Per affrontare queste criticità, emergono nuovi modelli di pubblicazione, come il "Publish-Review-Curate". Questo modello introduce maggiore trasparenza e si articola in tre fasi: pubblicazione, revisione e cura. Tuttavia, questi nuovi approcci incontrano resistenze, specie da parte degli editori commerciali

Per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 100 anni, il sistema di pubblicazione scientifica tradizionale usa come canale preferenziale l'articolo su rivista e prevede che una ricerca sia presentata ad una rivista, che un editor dopo una prevalutazione decida se sottoporla a peer review e in caso positivo che si avvii il processo di revisione tra pari.

Due o più esperti del settore leggono il testo e inviano ad autori e editor una serie di commenti migliorativi del testo o della metodologia. Se è il caso e se non è stata resa disponibile, possono chiedere ulteriore documentazione per poter validare i risultati (ad esempio i dati o il codice utilizzati). Gli autori rispondono ai commenti e se i revisori sono soddisfatti ne raccomandano la pubblicazione. La decisione finale spetta all’editor. 

Di tutto questo processo poco traspare all’esterno, a meno che la rivista non applichi la open peer review. In questo caso una volta che l’articolo sarà stato pubblicato, sarà possibile a chiunque sia interessato leggere le raccomandazioni dei revisori e le risposte degli autori.

Il modello in cui la pubblicazione avviene dopo il processo di revisione è definito “Review, then publish”.

Molto si è discusso in questi ultimi anni sull’efficacia della peer review ex ante (un processo totalmente opaco), soprattutto alla luce delle decine di migliaia di retractions, della pubblicazione di centinaia di ricerche fake, della produzione in serie di revisioni prive di senso e tutte uguali (review mills) e delle centinaia di commenti su Pubpeer, un sito in cui è possibile caricare (ex post) commenti rispetto alle immagini (per esempio duplicazioni o manipolazioni) ai dati, alla metodologia utilizzate in una ricerca. Il noto fenomeno del publish or perish, oltre a portare i ricercatori a cadere vittime di riviste predatorie, o in alcuni casi a comprare ricerche senza senso prodotte per lo più da strumenti di intelligenza artificiale (paper mills), li spinge anche ad accettare più review di quanto siano in grado di fare in modo accurato. Di conseguenza, un lavoro così delicato e importante per la qualità di ciò che viene pubblicato viene svolto in maniera sommaria o comunque poco attenta. 

Nel corso di questi ultimi vent’anni il modello descritto sopra si è molto diversificato e ha portato alla nascita di nuove iniziative e nuovi modelli. Si pensi ad esempio a overlay journals come Ars inveniendi analytica o Discrete analysis, si pensi alle riviste che pubblicano i report di revisione (come le riviste PLoS o BMC), o a tutti quegli strumenti che sono stati sviluppati per la open peer review (Prereview, Review Commons), o a infrastrutture a supporto del processo di pubblicazione che comprendono anche note, commenti, interazioni, collaborazioni, ecc. (come PubPub, ad esempio).

Molte iniziative, come già spiegato in queste pagine, sono nate in alternativa ai rigidi silos editoriali, una sorta di ecosistema di infrastrutture aperte con funzioni diverse ma completamente interoperabili. È in questo contesto che è nato il modello Publish–review-Curate  (PRC). In un breve articolo pubblicato come preprint, L. Waltman, e K.S Corker e J. Coates hanno cercato di descrivere nel dettaglio questo modello[1]:

Publish-Review-Curate (PRC) is a model of scientific communication that breaks the process of publishing down into distinct parts. In the publish stage, a research artifact (e.g., article, dataset, study registration) is made public by a researcher. In the review stage, reviewers transparently evaluate the research artifact and provide feedback. In the curate stage, research artifacts are compiled into collections, and they may have summary judgements or evaluations applied to them. The PRC model supports decentralization by design, with different services executing different parts of the scholarly communication process.

Il primo elemento di distinzione rispetto al modello tradizionale è che la scelta della pubblicazione è responsabilità dell’autore e non dell’editor o della rivista.

Per essere considerata pubblicata, una ricerca deve rispondere ad una serie di requisiti formali: deve avere un identificativo univoco (ad esempio un DOI), deve essere reperibile dagli esseri umani o dalle macchine, deve essere accessibile attraverso una licenza (ad es. CC0 o CC BY), deve essere descritta con metadati che garantiscano l’interoperabilità ed essere depositata in un archivio che assicuri la conservazione a lungo termine.

Strumenti che possono facilitare la pubblicazione nel senso sopra descritto sono gli archivi di preprint o i data repositories.

La fase di revisione in questo modello presenta secondo gli autori tre elementi fondamentali: discute rigore e validità del lavoro, i conflitti di interesse eventuali sono dichiarati e i nomi dei revisori sono noti o verificati. Le revisioni vengono svolte su piattaforme che applicano i principi FAIR e quindi saranno descritte da metadati sufficientemente dettagliati, avranno un DOI ed eventualmente una licenza d’uso. Piattaforme che seguono questo modello sono ad esempio Peer community in o ELife.

La fase di cura del lavoro comprende elementi come l’ampliamento dei metadati descrittivi, abstract, traduzioni, eventuali controlli (ad es. antiplagio). Un esempio è Prelights. Questo ultimo aspetto non deve essere necessariamente in carico ad un unico soggetto (come avviene nel sistema tradizionale), ma può essere a carico di più piattaforme.

La principale differenza fra il modello tradizionale e il modello PRC è rappresentata dal fatto che nel primo l’intero processo viene gestito dall’editore in un’unica piattaforma in maniera centralizzata, mentre nel secondo le diverse funzioni sono decentralizzate e affidate a piattaforme e soggetti diversi. Nel primo caso il processo di pubblicazione risulta poco o parzialmente trasparente, nel secondo caso invece vi è la massima trasparenza.

In alcuni casi (come per esempio F1000, che in questo momento gestisce Open research Europe), il modello è gestito da un unico soggetto.

Waltman et al. stabiliscono anche una differenza fra PRC, che è un modello di pubblicazione , e il diamond open access, che è invece un modello di business, in cui un soggetto pubblico mette a disposizione una infrastruttura e dei servizi di pubblicazione per cui gli autori non devono pagare per pubblicare e i lettori non devono pagare per leggere . Nonostante ciò, riconoscono che alcuni provider del modello PRC adottano anche il modello di business del diamond open access (per esempio Peer community In, che mette a disposizione sia un sistema di open peer review che la opzione di pubblicazione nel Peer community journal).

Anche gli overlay journals possono applicare un modello PRC. 

Il modello PRC trova senza dubbio un ostacolo negli editori tradizionali, nei sistemi di valutazione quantitativi e nei database bibliometrici proprietari che, come abbiamo constatato più volte, sembrano essere sordi e ciechi rispetto all’evolversi della comunicazione scientifica. Un esempio molto chiaro di questa cecità (o timore?) è la decisione di JCR di non attribuire più un Impact Factor ad eLife per via del modello di pubblicazione adottato: pubblicazione del preprint peer reviewed e dei report di revisione subito e, solo dopo che gli autori hanno deciso di andare avanti con il processo e rispondere ai commenti dei revisori, pubblicazione nella rivista.

Modello troppo trasparente? Troppo aperto? Troppo difficile da controllare? 

La decisione di Clarivate ha dato un duro colpo alla rivista, facendo calare in maniera considerevole le submission da parte di sistemi di ricerca totalmente basati sul brand e sugli indicatori quantitativi (ad es. la Cina), ma ciò non vale per molte parti del mondo (ad esempio l’Europa) dove l’accordo sulla riforma della valutazione della ricerca dovrebbe supportare forme di ricerca aperte e trasparenti.

 

[1] L. Waltman, e K.S Corker, e J. Coates: Understanding the Publish-Review-Curate (PRC) Model of Scholarly Communication. https://osf.io/preprints/metaarxiv/h7swt

 

 

Paola Galimberti

Paola Galimberti è responsabile della direzione Performance, assicurazione qualità, valutazione e politiche di open science presso l’Università degli Studi di Milano, è editor per la DOAJ, è coordinatrice del focus group italiano su IRIS Institutional repository, collabora con il Competence Center di ICDI su Open Science, è socio fondatore e membro di AISA (Associazione italiana per la scienza aperta), e redattrice di ROARS, partecipa a convegni nazionali e internazionali e svolge una intensa attività di formazione su Open science e gli strumenti per realizzarla, sulla valutazione della ricerca, sulle tematiche del diritto d’autore connesso alle pubblicazioni scientifiche.
 

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